L’ironia viene definita, etimologicamente parlando, come finzione, dissimulazione della realtà; alterazione talvolta paradossale che si usa per affermare il contrario di ciò che si pensa con lo scopo di ridicolizzare o sminuire concetti o reale, per arrivare al sarcasmo. Se applichiamo l’ironia agli oggetti, cosa si ottiene?
Oggetti “strani”, ironici, per certi aspetti sono magici in quanto riformulano le categorie del quotidiano e innescano una relazione di complicità tra chi li ha pensati e progettati e chi ne coglie il senso e l’intelligenza. Regalano un piacere intenso e profondo, dimostrano l’arbitraria convenzionalità delle certezze su cui si basano le nostre abitudini personali.
Ci sono infiniti codici per interpretare e decifrare il reale, e più questi codici sono intelligenti, acuti, ricercati, sottili, maggiore è la soddisfazione che ne trae chi usufruisce di quel prodotto.
Ma attenzione: ribaltare la logica per mettere in discussione le consuetudini richiede un rigore estremo.
La storia del design italiano è ricca di esempi di ironia applicata agli oggetti, pensiamo a Munari, considerato il padre del design ironico e alla sua 5000 Singer, sedia per visite brevissime, adatta a nuore, suocere, ex amanti; a Joe Colombo con la sua sedia universale stampata in un unico materiale per la prima volta nel 1965, attualmente non più in produzione. La sedia di Colombo prevedeva gambe sfilabili che potevano essere sostituite con altre di diversa altezza e la rendevano quindi adatta a una molteplicità di funzioni: sedia standard in una sala da pranzo, sedia per bambini con le gambe più corte, sedia alta o da bar con le gambe più alte. Pensiamo a Ugo La Pietra, a Gaetano Pesce a Cini Boeri, solo per citarne alcuni, dove il design lascia spazio all’ironia e al cambiamento dei canoni.
Jurgen Bey che si distingue per l’approccio critico, quasi filosofico, nel campo del progetto. Il suo lavoro è dedicato maggiormente ai processi piuttosto che sugli oggetti. Il pensiero corre alla sua Ear Chair, la sedia con le orecchie. Secondo Bey, questa sedia “Ha avuto origine da una domanda semplice: cosa accadrebbe se un mobile diventasse anche una stanza? Lavorando tutto il giorno in ufficio a un certo punto non si tollerano più i grandi spazi e si sente il bisogno di staccare. Sedendosi sulla Ear Chair si può essere isolati pur trovandosi in un luogo affollato. È come indossare il paraocchi dei cavalli: senti che succede qualcosa, ma non vedi quello che c’è intorno a te. E quando le persone ti passano accanto abbassano addirittura la voce rispettando la tua privacy.”
Altri esempi di oggetti ironici: il divano Serpentone di Cini Boeri, divano costruito dall’accostamento di moduli di schiuma poliuretanica, da vendere a metro; la seduta Pratone di Gufram anche in questo caso si utilizza il poliuretano espanso, intende rappresentare un prato artificiale su cui distendersi; il divano Blow di Emanuele Magini, la Valentine di Sottsass, la macchina da scrivere della Olivetti, nata nel 1968, diventata icona di un nuovo modo portatile di scrivere.
Ancora un esempio, tra i più recenti oggetti possiamo inserire quelli del design avanguardistico di Joe Velluto: Andrea Maragno e Sonia Tasca, hanno dato forma ad idee “pungenti” come il RosAria, rosario in pluriball.
In questa sede si sono citati solamente alcuni esempi di oggetti ironici, la panoramica potrebbe essere molto più vasta, la cosa importante che mi preme sottolineare, al di là del prodotto è: il rigore, la creatività, l’uso di materiali che rende il progetto oltre che ironico anche geniale.
Chi interpreta in modo “bizzarro” e non conforme ad una visione consueta il reale, ha il coraggio di andare oltre alle Colonne di Ercole. Spingersi in territori sconosciuti è sempre stata un’esigenza dell’uomo che promuove la ricerca, la conoscenza, l’interdisciplinarietà.
Creare un oggetto o un progetto che si discosti dall’ordinario e dal conosciuto richiede idee originali, concetti chiari, divertenti, riflessivi, mai privi di senso.