Il colore dell’eleganza, del potere, del controllo e del mistero.

Il nero è l’enfant terrible dei colori, con una storia lunga e affascinante. Cromia antichissima, fa parte insieme al rosso e al bianco delle prime tre tinte utilizzate dall’uomo per le pitture rupestri. Il rosso era la sfumatura bella per eccellenza, il bianco una sorta di incolore, mentre il nero veniva associato allo sporco o all’assenza di colore. Si potrebbe infatti affermare che con una frase ad effetto, ma corretta, che “in principio era il NERO”; un buio assoluto prima del fatidico big-bang, come ipotizzato dalle odierne teorie scientifiche; in seguito una condizione relativa legata alla “privatio lucis”, al nero fenomenico di ciò che rimane in ombra.
Nel corso della sua storia, il nero ha prevalentemente rappresentato il nulla e la morte, ma in verità esso dovrebbe essere interpretato più come l’origine della vita che il suo contrario. 

Il nero, secondo una interpretazione romantica non è nemmeno un colore, perché più di tutti gli altri colori esprime l’oscurità primordiale e di oscurità si può parlare solo in relazione alla luce e alla mancanza di essa, nelle tenebre delle profondità abissali, spesso raggiunte da rarefatti raggi solari, qualcosa come cinquecento settantamila anni fa dei piccoli animali predatori per ragioni ancora in gran parte sconosciute, decisero di affiorare e solo all’ora sentirono di dover sviluppare occhi per vedere, non per vivere, ma per adattarsi alla luce. 

Istintivamente si pensa agli aspetti negativi del nero: le paure infantili, il buio, la morte. Questi elementi sono presenti già nella Bibbia, dove la tinta è legata ai funerali, ai defunti e al peccato. Nella simbologia rappresenta la terra e quindi il lutto, perché in Occidente i defunti vengono sepolti e diventano polvere, ma non è così per esempio in Asia.

É indiscutibile che il nero per il suo legame con i confini della vita abbia un potere simbolico unico tra i colori e la storia dell’uomo, che di simboli vive, lo ha utilizzato in mille e più modi. Vengono rappresentate con questa tonalità figure tetre, demoniache, entità malefiche e distruttrici. Il nero, inoltre, esprimendo la passività, la rinuncia, “il limite assoluto dove la vita finisce” diviene anche colore di morte e lutto. Anche il bianco abbiamo visto ha la stessa valenza di “assenza”, espressione del vuoto e del nulla ma ha soprattutto qualcosa di messianico, esprime un’assenza da colmare, una mancanza provvisoria, il lutto del nero è principalmente connesso all’espressione del dolore rassegnato, all’angosciata morte senza ritorno, al lutto senza speranza. Esso, dunque, carico di queste valenze, diviene il colore delle potenze tenebrose ed oscure che governano nel regno dei morti, come Ade, Cerbero, il dio Anubi degli egizi o la dea Feralis (dea feroce) della mitologia romana, colei che stabiliva l’ultimo istante di vita dell’uomo.

PSICO DESIGN | Nero
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Nell’antico Egitto, il nero era il colore della fertile terra lasciata dal Nilo dopo le inondazioni, il Kemet, tale significato, inoltre, è riscontrabile anche nelle narrazioni di Omero, dove le profondità dell’oceano venivano descritte di colore nero perché  contenente il capitale di vita latente, la grande riserva di tutte le cose. Inoltre, in quanto colore di ciò che sta sotto la realtà apparente, il colore delle grotte e dell’oscurità della terra, il nero appartiene anche alle Grandi Madri delle mitologie, nelle loro ambivalenti significazioni di elementi trasformativi e dispensatrici oppure protettivi e divoranti. Tra quest’ultime, ad esempio, troviamo la terribile Grande Madre Kali, “vestita di nero cupo come le dee della notte e adorna di mani e teste mozzate delle sue vittime”.

Il colore nero è dunque la negazione del colore per antonomasia e rappresenta il confine che segna la conclusione della fase vitale. Il colore nero, quindi, esprime negazione per la vita futura con conseguente rifiuto a lottare, negazione per la realtà in cui si vive con conseguente ribellione e aggressività. Il colore nero conferisce un senso del sacrificio, tenacia, pessimismo, abnegazione e risolutezza nel perseguire le proprie mete.

Tra i neri positivi di più recente interpretazione, c’è quello austero della Riforma, portato dai monaci, simbolo di umiltà e temperanza. Da qui deriva il colore dell’autorità, indossato da giudici, arbitri, capi di Stato.

All’inizio dell’era moderna, con l’invenzione della stampa e dell’incisione, per convenzione e abitudine, ha cominciato ad accompagnarsi con il suo opposto, ovvero il bianco, guadagnandosi un ruolo particolare, origine di una rappresentazione del mondo veicolata in epoche a noi più vicine dalla fotografia e dal cinema.

Sempre a conferma della unicità del nero, proprio in relazione al bianco, di nero (o di bianco) ne esistono praticamente infinite sfumature; le così dette tonalità di grigi, ma che filosoficamente non sono altro che l’espressione della combinazione tra il bianco ed il nero, certamente, ma è la percentuale di nero che fa la differenza non il contrario, tanto che il bianco può essere definito anche come “assenza di nero”, ma non viceversa.

Nello spettro cromatico di Isaac Newton le due tinte, oggi considerate a pieno titolo colori, sono assenti.

Per il mondo dell’arte basti pensare al rapporto che il nero ed il bianco hanno nell’ambito della fotografia, un rapporto cromatico che dona una intensità ed una essenzialità di contenuto da essere un genere ben preciso e molto amato.

La bandiera dei pirati era nera e significava morte. E’ stata ripresa dagli anarchici nel XIX secolo e ha poi sconfinato nella bandiera rossa della sinistra. Il nero dell’anarchia si è congiunto a quello dell’estrema destra che a seconda dei diversi Paesi indicava il partito conservatore, quello monarchico o ecclesiastico.

E’ solo alla fine del XX secolo che il nero viene riabilitato grazie all’arte, al costume e alla scienza. In tempi più recenti si arriva al suo trionfo nell’eleganza e nella moda, erede della tinta dei principi del Rinascimento. Noi notiamo che anche l’arte contemporanea non è immune da questa riscoperta passione, e tanti artisti italiani, sia emergenti sia maestri, riattualizzano il nero di Goya e di Rembrandt, tra questi Alberto Burri, Enzo Cucchi, Omar Galliani, Iacopo Raugei, Nicola Samorì, Lorenzo Puglisi e molti altri. Veniamo quindi al nero nell’arte, ed anche qui, il nero non poteva che essere leggenda, affondando le sue radici nella cultura dell’uomo, anche le tecniche di estrazione del pigmento hanno un fascino unico tra i colori. Partendo dal presupposto dato, che esistono una notevole quantità di neri, si arriva a riconoscere sfumature e a ritrovare implicazioni capaci di apportare nel mondo della storia dell’arte preziosissimi contributi.

PSICO DESIGN | Nero
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Il Nero Fumo

Che dire, per esempio, del nerofumo, o nero di lampada, quella polvere un po’ grassa e raccoglibile col coltellino che si depone su una lamina d’argento o su un disco di porcellana messo a una certa distanza dallo stoppino di una lampada ad olio e che produce effetti bluastri usati in ogni pittura a fresco?

Il Nero di Vite

O del nero di vite, così chiamato perché formatosi dalla combustione di sarmenti di questa pianta una volta chiusi in una scatola di bronzo e in grado di creare un effetto argenteo-azzurro stinto, tra i più amati dai pittori ad olio, tanto che Johannes Vermeer lo impiegò esclusivamente negli effetti giallo-neri dell’abito della donna che legge (nel dipinto “Lettera davanti alla finestra”, Galleria di Dresda), e Arnold Böcklin lo usò spesso accostandolo all’azzurro oltremare della pietra “concentrando il nero sopra una enigmatica figura in nero destinata ad attendere eternamente sulla riva” nel quadro “Villa sul mare”? Questi colori, di derivazione vegetale, contengono qualità fredde e bluastre che lo ricongiungono all’aria pur partendo dalla consumazione del legno di vite e dai noccioli della frutta.

Il Nero d’Avorio

Esistono poi varietà di nero animale, che hanno invece in sé l’origine dal nero-rosso-giallo della terra. Come, per esempio, il nero d’avorio o nero elefantino, raccolto dalle ceneri delle zanne d’elefante, i cui frammenti devono bruciare e consumarsi entro vasi metallici ermeticamente chiusi. Si tratta, quest’ultimo, di un nero nobile e antico per la pittura ad olio, in cui si impiegavano i frammenti di zanne di pachiderma che non servivano ai fabbricanti di pettini e di cornetti.

Il Nero di Mummia

Una qualche liturgia del nero non può poi ignorare il nero di mummia, un colore che ha in sé qualcosa di spirituale. Si tratta di un nero terragno, quasi terra d’ombra, ricavato dalla triturazione e dalla riduzione in polvere di mummie egiziane, prelevate dalle rive del Nilo e contrabbandate in gran quantità nell’occidente. Già dall’epoca delle crociate si commerciava in mummie, ma soltanto tra il XVII e il XVIII secolo se ne segnala gran commercio in tutta Europa: nelle farmacie si preparava questa polvere ad un altissimo prezzo vendendola come rara medicina. Ciò durò fino alla fine del Settecento, quando in tutte le città del vecchio continente la polvere di mummia veniva prescritta per curare molte malattie dello spirito e dell’anima. Alcuni pittori, come il Tintoretto, impegnando le loro fortune, mescolavano e macinavano più sottilmente questa polvere, più preziosa dell’oro e dei lapislazzuli, per dipingere le loro ultime opere e fare di loro stessi, oltre che delle opere, un’arte e un nome eterno.

Il Nero di Seppia

Dal XVIII secolo si iniziò a rispettare le mummie, indirizzandosi verso un altro modo di prelevare “il colore delle tenebre”: ecco il nero di seppia, un succo prelevato dal mollusco marino con un metodo scrupoloso e attento. Alla fine dell’inverno, verso la metà del mese di marzo, le seppie cercano strette lagune per accoppiarsi, divenendo facili prede una volta che vogliano riconquistare il mare aperto: è allora che i pescatori ne raccolgono in grande quantità tuffando le mani o utilizzando delle semplici reticelle. Soggetto a manipolazioni ed essiccazioni, il nero o bruno di seppia è un inchiostro direttamente solubile in ammoniaca, in grado di trasformarsi in una materia succosa e scorrevole adatta ad intingervi tanto il pennello di martora quanto la penna d’oca.